La linea dell’orizzonte

I pomeriggi d’estate, per chi resta in città, sono lenti e inesorabili: si rimane a casa in stanze perennemente all’ombra o, quando l’afa lo permette, si cerca un angolo fresco in un giardino.

Nulla attira l’umana attenzione più del dovuto; i consueti rumori sono rari e lontani, si sente solo imperterrito il frinire delle cicale che segna con il suo ritmo lo scorrere di un tempo ammantato di eternità.

In questa apparente immobilità ci si sente pigri e annoiati,  ma la noia esistenziale, che contraddistingue questi momenti, non è da sottovalutare:  far vagare libera la mente può regalarci riflessioni inaspettate, richiamare alla memoria ricordi sopiti che possono condurci sui surreali sentieri del sentire umano.

Seguendo distrattamente la linea dell’orizzonte, capita allo sguardo di perdersi  nei colori  resi vibranti dal sole: l’ azzurro del cielo,  il verde degli alberi, il grigio del calcestruzzo,  l’arancio di un tramonto…questi colori vivi e intensi diventano la cartina tornasole di quello che percepiamo del mondo che ci circonda; guardandoli nella loro purezza, la nostra mente scopre infinite dimensioni del sé: senza saperlo, entriamo in un Rothko!

Mark Rothko

Mark Rothko, leggendaria figura dell’arte contemporanea, con le sue opere assolute e apparentemente semplici, ha cambiato il modo di intendere la pittura, dividendo il suo pubblico in estimatori estasiati o critici scettici.

Nato entro i confini dell’Impero Russo nel 1903, Marcus Rothkowitz era il quarto figlio di in una colta famiglia ebraica, che decise di emigrare negli Stati Uniti quando Marcus era ancora un bambino; trasformò il suo cognome, Rothkowitz, in Rothko e divenne cittadino americano nel 1938, ma in quella terra non si sentì mai completamente a casa.

Marcus approdò alla pittura quasi per caso, quando era già adulto, dopo essersi ritirato dall’università di Yale ed essersi trasferito a New York, dove l’incontro con un amico che studiava all’Art Students League gli fece capire che l’arte sarebbe diventata la sua missione.

Iniziò con il frequentare la stessa scuola d’arte e nei primi anni della sua attività di pittore realizzò quadri contraddistinti da figure umane e paesaggi, in cui si potevano intravedere influenze espressioniste e surrealiste.

Intorno al 1947 il suo stile cambiò e i suoi quadri divennero oggetto di interesse per critici e collezionisti, che fecero di lui uno dei pittori più influenti del ‘900.

Da allora le sue tele, per lo più di grande formato, furono costituite esclusivamente da rettangoli colorati dai contorni sfumati.

Per Rothko l’arte non è un’espressione soggettiva dell’autore, ma un atto di comunicazione e scambio tra l’autore e lo spettatore, a cui si trasmette il senso più intimo dell’esistenza.

In un’intervista del 1952 Rothko affermò che “ Non si dipinge per gli studenti di disegno o per gli storici, ma per gli esseri umani e la reazione in termini umani è la sola cosa che da veramente soddisfazione”.

Il suo modo di utilizzare la tela e i colori erano quindi semplicemente il mezzo più adeguato per esprimere le verità di cui si faceva portatore, tant’è che rifiutò spesso la definizione che alcuni critici fecero di lui di pittore astratto, negando sempre qualsiasi interesse per la creazione di armonie cromatiche.

Non mi interesso ai rapporti di colore o di forma o di qualsiasi altra cosa. […] Sono interessato solo ad esprimere emozioni umane fondamentali – la tragedia, l’estasi, l’estinzione e così via – e il fatto che molte persone collassino e piangano quando si trovano di fronte ai miei dipinti è una prova che comunico queste emozioni umane fondamentali. […] E se tu sostieni di essere mosso solo dalle relazioni di colore, ti sfugge l’essenziale!

La gente mi chiede se sono stimolato dal colore. Sì, nei dipinti non vi è altro, ma non sono contrario alla linea. Non la uso perchè mi avrebbe distolto da quella chiarezza che ho intenzione di trasmettere. La forma segue la necessità di quanto abbiamo da dire. Se avete una nuova visione del mondo, dovete mettervi alla ricerca di nuovi modi per esprimerla.

I mei dipinti sono in verità facciate (come sono state chiamate). A volte apro una porta o una finestra, alle volte due porte e due finestre. Procedo con cautela. Si trasmette più forza nel dire poco che nel dire molto.

Rothko non era di certo un pittore istintivo, i suoi lavori, lunghi e ragionati, erano caratterizzati da una metodologia rigorosa e studiata.

Questo tipo di configurazione può sembrare elementare ma mi servono di solito diverse ore prima di riuscire a ottenere i colori adeguati e le giuste proporzioni. Ogni cosa deve incastrarsi con l’altra. Credo di avere un po’ lo spirito dell’idraulico.

Anche la grande dimensione delle sue tele nasceva da un’esigenza specifica, quella di riuscire a creare con lo spettatore un dialogo intimo e umano: un quadro dalle dimensioni ridotte avrebbe creato separazione e distanza e non quel senso di inclusività che il pittore voleva instaurare con il suo osservatore. I suoi quadri avevano spesso un’altezza proporzionata a quella di un individuo proprio perché voleva portare l’osservatore letteralmente dentro le sue opere.

Inoltre per lui esisteva una sorta di ricetta della buona opera d’arte e si componeva di 7 elementi:

1) deve esserci una preoccupazione manifesta per la morte / l’allusione alla condizione mortale;

2) Sensualità;

3) Tensione;

4) Ironia;

5) Astuzia e gioco;

6) Effimero e sorte;

7) La speranza. 10% per rendere il concetto tragico più sopportabile.

Tanto era importante quel dialogo intimo e intenso con lo spettatore che Rothko non diede mai un titolo alle sue opere e riteneva che nulla dovesse essere spiegato, tanto che detestava i critici e chiunque cercasse di spiegare i suoi quadri.

La sua esistenza fu difficile e tormenta, tant’è che pose direttamente fine lui stesso alla sua vita, nel suo studio nel febbraio del 1970 . Per qualcuno, il suo è stato il gesto di un uomo stanco e malato, che per via della malattia non poteva più dipingere come voleva, per altri, il suo suicidio nasceva dalla rabbia di non essere mai stato compreso, dall’incapacità di accettare che i suoi quadri fossero trattati per lo più come merci.

Una delle sue opere più importanti e suggestive fu la cappella aconfessionale commissionatagli dai coniugi de Menil e che da lui prende il nome: uno spazio caratterizzato da una geometria rigorosa in cui trovano spazio le grandi tele scure, sovrapposizione di molteplici strati di colore.

Nella sua vita Mark Rothko fece diversi viaggi in Europa. Nel 1959 soggiornò per qualche giorno a Napoli e dintorni; dopo aver visitato Pompei, confessò di aver provato una “profonda affinità” con le pitture murali della Casa dei misteri.

Si recò poi con la sua famiglia e quella di un suo amico anche a Paestum, strada facendo la comitiva raccolse due giovani turisti italiani che fecero amicizia con le figlie e si offrirono di fare un po’ da ciceroni. Vagando per gli antichi resti Rothko esaminava in silenzio ogni dettaglio architettonico con attenzione stupefatta.

Quando i due giovani scoprirono di essere in compagnia di un pittore, gli chiesero se fosse venuto in quei luoghi per dipingere i templi. “Riferisci loro” disse alla figlia che faceva da interprete ”che per tutta la vita non ho fatto altro che dipingere templi greci senza saperlo”.

Quel che resta

Sembra assurdo, ma dopo aver visto un quadro di Mark Rothko, la tua vita cambia. Impari a vedere più lontano.

A me spesso capita di vedere un cielo azzurro e di pensare a una sua opera, non viceversa:

siamo circondati da un senso di assoluto che non sempre vediamo, alle volte serve qualcosa di lontano dalla nostra concezione delle cose materiali per capirlo.

Per questo abbiamo bisogno dell’arte, per scoprire anche nella contemporaneità la maestosità di un tempio.

Parafrasando Massimo Troisi, possiamo dire che l’arte non è di chi la fa, ma di chi la guarda.

Occorre imparare a guardare qualcosa di più di quel che semplicemente si vede,

occorre individuare la linea che distingue ciò che è parte della superficie terrestre e ciò che non lo è, la linea che separa la terra dal cielo, la linea dell’orizzonte.

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Questo è un articolo interattivo, clicca sui testi in verde presenti sulle immagini e nel testo e scoprirai di più sulle opere e sugli autori!

Immagine di copertina è tratta da Istagram Notre.Arte

La canzone citata è Pigro di Pino Daniele

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